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martedì 16 febbraio 2016

storia di un equivoco

aveva deciso di far tardi in ufficio un po’ per avvantaggiarsi, un po’ perché sapeva che se fosse passata da casa il richiamo del divano sarebbe stato più forte di qualsiasi velleità di giovinezza. quando si erano dovuti trasferire lì dicevano che sarebbe stato solo provvisoriamente ma aveva capito subito che sarebbe andata come doveva andare, che non c’è nulla di più definitivo del provvisorio…

nel breve tratto che la separava dalla sua auto faceva quasi sempre gli stessi pensieri, uno dedicato al traffico, troppo o niente in quella grande via, uno al gestore del camioncino che sfama camionisti e avventori delle prostitute, e invade di crautiesalsiccia tutto il parcheggio. 

era stata una serata tranquilla ma piacevole, aveva bevuto un prosecco e mangiato il solito piattino di couscous che propongono agli aperitivi e una porzione doppia di chiacchiere. era stata contenta di vedere le sue amiche che trascurava da un po’. la fortuna è che loro -come tutte le amiche- sono come una telenovela, anche se ne perdi qualche puntata mantieni sempre il filo.

quando poi era arrivata a casa aveva cercato a lungo le chiavi nella borsa, convinta di aver bevuto leggermente troppo per trovarle al primo colpo. aveva perfino svuotato tutto il contenuto sul sedile del passeggero, forte della sua convinzione, ma niente. aveva lasciato le chiavi di casa in ufficio, sì, aveva come una fotografia in mente.

aveva infilato nuovamente tutto in borsa, o meglio, un rossetto e un pacchetto di fazzolettini avrebbero vagato nei tappetini sotto il sedile per qualche mese ancora, ed era tornata in ufficio a disturbare il tiepido sonno del guardiano. 

era quasi mezzanotte. era corsa fuori dalla macchina lasciando lo sportello aperto e si era allontanata dall’auto per suonare il citofono del cancello esterno. mentre il guardiano rinveniva dal suo sguardo nel vuoto dei monitor le si avvicinò un ragazzo sul motorino. 

lei pensò che era stato gentile a fermarsi, che forse aveva pensato che una ragazza, da sola a quell’ora su una strada così poco ben frequentata poteva aver bisogno di una mano. poi pensò che forse era stata troppo frettolosa nel dare giudizi e che l’aveva dipinto con toni troppo tenui. mise sul piatto l’ipotesi che forse avrebbe voluto rubarle la macchina e, come se potesse cambiare qualcosa, premette più forte sul campanello. 

buonasera – disse lui guardandola. 
bu-buonasera- disse lei, impaurita.

fu in quell’istante che, mentre si guardavano negli occhi colmi di imbarazzo, capirono che tutto ciò che avevano pensato l’uno dell’altra fino a quel momento, non aveva nulla a che fare con la realtà.

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