cornici

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lunedì 29 giugno 2015

appocundrìa

si trovava lì a causa di una di quelle serate, che capitano a tutti prima o poi, in cui ci si impegna per davvero ad essere diversi da quelli che si è. una di quelle serate in cui si è fatto finta di essere indipendenti, emancipate, affrancate dalla paura di ciò che gli altri pensano di noi stessi. una di quelle serate in cui si finge di non soffrire la solitudine di dentro, o la si soffre talmente tanto da sentire la necessità di colmarla con voci sconosciute, chiasso e alcool.

si era svegliata una mattina in quella fase della vita in cui si dovrebbero fare dei bilanci ma si ha paura di rilevare che qualcosa è andato storto e l’utile tanto agognato, alla fine, non c’è. era una donna di una sensibilità estrema, invadente, minacciosa. c’era un velo nei suoi occhi e una gabbia nel suo cuore. ogni sussurro del mondo le provocava brividi incontenibili. 

la sera in questione risaliva a sei settimane prima, dopo una piccola delusione, una di quelle che in periodi migliori della sua vita non avrebbe neppure considerato tale, aveva indossato un abito scollato e una buona dose di mascara ed era andata in un bar in centro. era un locale con le luci basse in cui conosci lo sguardo del barista ma non il nome. un ragazzo con la chitarra suonava perso in un blues malinconico e stonato e un uomo, di cui ricordava solo le mani, le aveva offerto qualche bicchiere di vino e un abbraccio.

lunedì 22 giugno 2015

blucobalto

da quando non c’era nessuno ad aspettarlo a casa consumava storie effimere la cui unica implicazione era quella di dover cambiare le lenzuola. si era tuffato a capofitto nel lavoro e nello sport traendone ottimi risultati. ulteriore conferma di quanto la sua condizione di uomo libero fosse l’ideale per lui. aveva ottenuto una promozione a lavoro ed era ormai chiaro che avrebbe preso il posto del suo capo che stava per andare in pensione. era anche riuscito finalmente a concludere il suo secondo romanzo e l’editore gli aveva programmato una serie di eventi per la presentazione al pubblico.

Lui si ricordava ancora bene quanto aveva sofferto, quanto quel cammino in due fosse stato uno sbaglio, quanta fiducia aveva riposto in quel sostegno che  lo aveva tradito cedendo sotto il suo carico, e quanto gli era pesato dover ammettere di aver ceduto, a sua volta. si era costruito una corazza. aveva gelato quei suoi occhi blucobalto. si era convinto che non ne valesse la pena, che avrebbe camminato da solo, senza appoggiarsi a niente, a nessuno. e alla fine in quella condizione di equilibrio, di mondo ovattato, di quiete derivata dalle emozioni di cui si privava accuratamente, ci stava bene. o forse la consapevolezza di non star male gli era sufficiente.

lunedì 15 giugno 2015

50 special

si erano conosciuti in un pomeriggio di marzo, uno di quelli in cui sembra che l’estate sia dietro l’angolo. Lui aveva preso qualche ora libera dal lavoro per aiutare un amico a traslocare e lei fingeva di studiare diritto civile godendosi quei raggi di sole sul muretto. sotto il peso di una scatola di libri, Lui aveva fatto qualche battuta a voce alta per farsi notare e aveva attaccato bottone sottolineando che la visione di lei era l’unica cosa che lo spingeva a scendere nuovamente, trascurando il richiamo del divano e delle birrette in frigo. “piacere, Martina” aveva sussurrato lei. si erano scambiati i numeri di telefono e avevano cominciato a vedersi, sempre più intensamente, fino a che non avevano deciso di stare insieme davvero.

lui lavorava nella falegnameria di suo padre. era un lavoro che faceva con passione perché era sempre stato incantato dal legno, inoltre lo rendeva felice il sapere che dalle sue mani poteva nascere qualcosa di concreto. lei studiava giurisprudenza per ingannare il tempo. la facoltà l’aveva scelta col criterio infallibile della minor distanza da casa. non era particolarmente brillante ma aveva imparato il metodo e riusciva, seppur non a eccellere, a progredire agevolmente con gli studi.

lunedì 8 giugno 2015

avvolti

Lei, quarantotto anni appena compiuti, sposata, due figli adolescenti. fisico asciutto e minuto, mani grandi ma curate. concreta, ordinata, metodica, innamorata della vita e malinconica. era stata una figlia scapestrata ed era diventata una madre severa ma giusta ed una buona moglie. aveva una vera passione per il gioco del lotto, tentava tutti i concorsi a premi dei prodotti che acquistava e collezionava mollette per il bucato.

tutte le mattine da quindici anni a quella parte si recava in ufficio alla stessa ora, timbrava il cartellino, saliva a piedi quei due piani di scale, appendeva borsa e soprabito all'appendiabiti e si sedeva sulla sedia bordeaux che non aveva voluto cambiare perché le piaceva l’idea di mantenere tutto come l’aveva trovato benché fosse troppo rigida per gli standard moderni.

da un paio d’anni le era toccata la responsabilità di quel piccolo ufficio dell’università in cui sbrigava pratiche relative a maternità, malattie, infortuni e pensionamenti, aveva due collaboratrici anche se forse sarebbe stata sufficiente una sola ed ogni tanto, per interrompere un po’ la monotonia, le mandavano anche uno di quegli studentelli sbarbati che meritano qualche ora di lavoro.

lunedì 1 giugno 2015

equilibrio instabile

quattro anni per un metro esatto di altezza, due grandissimi occhi blu e un groviglio di capelli castani in cui poteva comodamente nascondere uccellini, stelle filanti, aeroplani, dinosauri e matite colorate. aveva due grandi passioni, il gelato al cioccolato e suo padre. nonostante avesse solo quattro anni, suo padre credeva fortemente in Lui che era testardo e coraggioso. sognavano insieme il momento in cui gli avrebbe insegnato ad andare in bicicletta, quello in cui avrebbe pescato il primo pesciolino o la prima volta in cui sarebbero stati allo stadio e non si accontentavano di farlo sommariamente, si addentravano nei dettagli: immaginavano come si sarebbero vestiti, se la mamma avrebbe insistito per mettere un cappellino o la canottiera, su quale scoglio si sarebbero appostati, cosa avrebbero urlato al primo goal.

si erano da poco trasferiti in una casetta a schiera nella periferia di una grande città, Mario e Barbara, i suoi genitori l’avevano scelta anche perché si affacciava su una strada poco trafficata in cui i bambini potevano giocare liberi al sicuro dalle auto e sbucciarsi le ginocchia come si faceva un tempo. pur sapendo che avrebbero dovuto affrontare qualche sacrificio in più avevano deciso di acquistare la casetta di testa e la primavera scorsa avevano finalmente inaugurato il giardino invitando gli amici di sempre a mangiare qualcosa e a trascorrere il pomeriggio insieme. erano perfino riusciti a vedere la partita dal giardino, era stato sufficiente spostare un po’ la tv e procurare qualche prolunga di fortuna. Barbara aveva comprato salsicce e verdura che avevano cotto alla brace, poi le donne avevano chiacchierato di figli, gli uomini di calcio e Lui e i suoi amici avevano mandato in fumo praticamente tutto il lavoro di riordino che Barbara aveva svolto il giorno prima.