cornici

cornici

lunedì 20 luglio 2015

trentatrè

un letto singolo addossato alla parete, una scrivania di legno chiaro su cui ai tempi del liceo aveva intagliato un qualche incitamento alla sua squadra e attaccato una figurina di Altobelli la cui pettinatura, nonostante il tempo e il prodotto per spolverare di cui sua mamma abusava, continuava a dire la propria. un armadio con tre ante e due cassetti. l’anta più a sinistra portava ancora i segni di quando Simonetta Antonelli della terzaccì si era messa con Marco De Nicola, il belloccio della sua classe.

l’unica grande innovazione in quella stanza era avvenuta ormai qualche anno prima, quando col primo stipendio da autista del trentatrè, in servizio da piazzalelagosta a rimembranzedilambrate, aveva acquistato un televisore 28 pollici che aveva attaccato alla parete tra l’armadio e la porta d’ingresso. si ricordava ancora di quanto gli fosse sembrato scortese nei confronti di sua madre non annoiarsi su chi l’ha visto in sala, come era successo ogni mercoledì della sua vita fino a quel momento. non aveva traccia di cosa avesse poi realmente visto, ma forse non aveva neppure importanza.

lunedì 13 luglio 2015

bang bang

niente è rimasto come allora, ricordo un natale di qualche anno fa, avevo regalato ad Anna un braccialetto di diamanti, lo avevo nascosto in un suo vecchio foulard sostenendo di non aver avuto tempo per andare a comprarle un regalo vero. si vedeva nel suo sguardo che era profondamente delusa ma non aveva detto una parola. stava addirittura abbozzando un sorriso di circostanza con i suoi mentre srotolava il foulard per indossarlo. era stata così contenta poi, quando l’aveva trovato! aveva riso di gusto quando l’avevamo presa in giro per quella faccia triste.

poi le cose sono precipitate, il lavoro non faceva che diminuire. poi i guai, le accuse di estorsione, i soci, gli avvocati, le banche… tutti contro di me, perfino quelli che da me avevano campato. quelli che sono amici finché le cose vanno bene. abbiamo chiuso la magenta. fallita. bancarotta mi hanno dato. io ci ho provato a uccidermi, volevo spararmi ma non ne ho avuto il coraggio. ho preso la pistola che tenevo sotto al forno e l’ho puntata alla tempia in camera da letto ma quando ho visto la mia immagine riflessa allo specchio non ce l’ho fatta. ho pensato ai ragazzi, e ad Anna. ho immaginato le loro facce alla vista di tutto quel sangue e me, riverso per terra.

lunedì 6 luglio 2015

altrove

era un groviglio di ossa avvolte alla pelle, una persona minuta il cui fisico da bambina combatteva costantemente con l’anima da gran donna. aveva trascorso i suoi primi anni in un paese di quelli che arrivano al presente con vent'anni di ritardo ed era sempre stata diversa. era chiaro a tutti quanto lo fosse ed era chiaro a lei che non aveva mai combattuto nell'illusione di uniformarsi, lo aveva fatto, invece, nella speranza di riuscire a far capire ai più che il contrario di essere normali è essere speciali.

si era faticosamente guadagnata un’esistenza scegliendo in prima persona, fin da piccolissima, le mani a cui affidarsi e i piccoli grandi aggiustamenti che avrebbe subìto per continuare a godersi i suoi giorni. aveva seminato i piccoli grani della sua indipendenza in vasetti di terracotta e li aveva annaffiati regolarmente seppur con grande sacrificio.

aveva scelto una vita altrove, dove i giorni non passano mai e le notti sono votate ai pensieri, ai singhiozzi e alla nostalgia, dove il vicino di casa ti saluta con distacco, pensando tra sé e sé dove possa aver già visto la tua faccia e lì si era fatta grande. aveva sgomitato per ritagliarsi il proprio spazio, sfidando gli altri e scommettendo contro se stessa. spesso aveva vinto, delle volte aveva perso. quelle sconfitte però le avevano regalato un’esperienza e un briciolo di saggezza.

lunedì 29 giugno 2015

appocundrìa

si trovava lì a causa di una di quelle serate, che capitano a tutti prima o poi, in cui ci si impegna per davvero ad essere diversi da quelli che si è. una di quelle serate in cui si è fatto finta di essere indipendenti, emancipate, affrancate dalla paura di ciò che gli altri pensano di noi stessi. una di quelle serate in cui si finge di non soffrire la solitudine di dentro, o la si soffre talmente tanto da sentire la necessità di colmarla con voci sconosciute, chiasso e alcool.

si era svegliata una mattina in quella fase della vita in cui si dovrebbero fare dei bilanci ma si ha paura di rilevare che qualcosa è andato storto e l’utile tanto agognato, alla fine, non c’è. era una donna di una sensibilità estrema, invadente, minacciosa. c’era un velo nei suoi occhi e una gabbia nel suo cuore. ogni sussurro del mondo le provocava brividi incontenibili. 

la sera in questione risaliva a sei settimane prima, dopo una piccola delusione, una di quelle che in periodi migliori della sua vita non avrebbe neppure considerato tale, aveva indossato un abito scollato e una buona dose di mascara ed era andata in un bar in centro. era un locale con le luci basse in cui conosci lo sguardo del barista ma non il nome. un ragazzo con la chitarra suonava perso in un blues malinconico e stonato e un uomo, di cui ricordava solo le mani, le aveva offerto qualche bicchiere di vino e un abbraccio.

lunedì 22 giugno 2015

blucobalto

da quando non c’era nessuno ad aspettarlo a casa consumava storie effimere la cui unica implicazione era quella di dover cambiare le lenzuola. si era tuffato a capofitto nel lavoro e nello sport traendone ottimi risultati. ulteriore conferma di quanto la sua condizione di uomo libero fosse l’ideale per lui. aveva ottenuto una promozione a lavoro ed era ormai chiaro che avrebbe preso il posto del suo capo che stava per andare in pensione. era anche riuscito finalmente a concludere il suo secondo romanzo e l’editore gli aveva programmato una serie di eventi per la presentazione al pubblico.

Lui si ricordava ancora bene quanto aveva sofferto, quanto quel cammino in due fosse stato uno sbaglio, quanta fiducia aveva riposto in quel sostegno che  lo aveva tradito cedendo sotto il suo carico, e quanto gli era pesato dover ammettere di aver ceduto, a sua volta. si era costruito una corazza. aveva gelato quei suoi occhi blucobalto. si era convinto che non ne valesse la pena, che avrebbe camminato da solo, senza appoggiarsi a niente, a nessuno. e alla fine in quella condizione di equilibrio, di mondo ovattato, di quiete derivata dalle emozioni di cui si privava accuratamente, ci stava bene. o forse la consapevolezza di non star male gli era sufficiente.

lunedì 15 giugno 2015

50 special

si erano conosciuti in un pomeriggio di marzo, uno di quelli in cui sembra che l’estate sia dietro l’angolo. Lui aveva preso qualche ora libera dal lavoro per aiutare un amico a traslocare e lei fingeva di studiare diritto civile godendosi quei raggi di sole sul muretto. sotto il peso di una scatola di libri, Lui aveva fatto qualche battuta a voce alta per farsi notare e aveva attaccato bottone sottolineando che la visione di lei era l’unica cosa che lo spingeva a scendere nuovamente, trascurando il richiamo del divano e delle birrette in frigo. “piacere, Martina” aveva sussurrato lei. si erano scambiati i numeri di telefono e avevano cominciato a vedersi, sempre più intensamente, fino a che non avevano deciso di stare insieme davvero.

lui lavorava nella falegnameria di suo padre. era un lavoro che faceva con passione perché era sempre stato incantato dal legno, inoltre lo rendeva felice il sapere che dalle sue mani poteva nascere qualcosa di concreto. lei studiava giurisprudenza per ingannare il tempo. la facoltà l’aveva scelta col criterio infallibile della minor distanza da casa. non era particolarmente brillante ma aveva imparato il metodo e riusciva, seppur non a eccellere, a progredire agevolmente con gli studi.

lunedì 8 giugno 2015

avvolti

Lei, quarantotto anni appena compiuti, sposata, due figli adolescenti. fisico asciutto e minuto, mani grandi ma curate. concreta, ordinata, metodica, innamorata della vita e malinconica. era stata una figlia scapestrata ed era diventata una madre severa ma giusta ed una buona moglie. aveva una vera passione per il gioco del lotto, tentava tutti i concorsi a premi dei prodotti che acquistava e collezionava mollette per il bucato.

tutte le mattine da quindici anni a quella parte si recava in ufficio alla stessa ora, timbrava il cartellino, saliva a piedi quei due piani di scale, appendeva borsa e soprabito all'appendiabiti e si sedeva sulla sedia bordeaux che non aveva voluto cambiare perché le piaceva l’idea di mantenere tutto come l’aveva trovato benché fosse troppo rigida per gli standard moderni.

da un paio d’anni le era toccata la responsabilità di quel piccolo ufficio dell’università in cui sbrigava pratiche relative a maternità, malattie, infortuni e pensionamenti, aveva due collaboratrici anche se forse sarebbe stata sufficiente una sola ed ogni tanto, per interrompere un po’ la monotonia, le mandavano anche uno di quegli studentelli sbarbati che meritano qualche ora di lavoro.

lunedì 1 giugno 2015

equilibrio instabile

quattro anni per un metro esatto di altezza, due grandissimi occhi blu e un groviglio di capelli castani in cui poteva comodamente nascondere uccellini, stelle filanti, aeroplani, dinosauri e matite colorate. aveva due grandi passioni, il gelato al cioccolato e suo padre. nonostante avesse solo quattro anni, suo padre credeva fortemente in Lui che era testardo e coraggioso. sognavano insieme il momento in cui gli avrebbe insegnato ad andare in bicicletta, quello in cui avrebbe pescato il primo pesciolino o la prima volta in cui sarebbero stati allo stadio e non si accontentavano di farlo sommariamente, si addentravano nei dettagli: immaginavano come si sarebbero vestiti, se la mamma avrebbe insistito per mettere un cappellino o la canottiera, su quale scoglio si sarebbero appostati, cosa avrebbero urlato al primo goal.

si erano da poco trasferiti in una casetta a schiera nella periferia di una grande città, Mario e Barbara, i suoi genitori l’avevano scelta anche perché si affacciava su una strada poco trafficata in cui i bambini potevano giocare liberi al sicuro dalle auto e sbucciarsi le ginocchia come si faceva un tempo. pur sapendo che avrebbero dovuto affrontare qualche sacrificio in più avevano deciso di acquistare la casetta di testa e la primavera scorsa avevano finalmente inaugurato il giardino invitando gli amici di sempre a mangiare qualcosa e a trascorrere il pomeriggio insieme. erano perfino riusciti a vedere la partita dal giardino, era stato sufficiente spostare un po’ la tv e procurare qualche prolunga di fortuna. Barbara aveva comprato salsicce e verdura che avevano cotto alla brace, poi le donne avevano chiacchierato di figli, gli uomini di calcio e Lui e i suoi amici avevano mandato in fumo praticamente tutto il lavoro di riordino che Barbara aveva svolto il giorno prima.

lunedì 25 maggio 2015

leididentro

Lei era una donna oramai. non si sentiva che poco più di una ragazzina, ma era donna. piena di tabù, non si conosceva abbastanza e non parlava mai con sé, le rare volte in cui ci aveva provato non aveva avuto risposta. probabilmente la Leididentro, la padrona di casa, parlava un’altra lingua.

forse vittima di una educazione vecchio stile o forse per la sua debolezza, che vinceva su tutto, nascondeva la sua insicurezza mascherandosi da donna coraggiosa, emancipata ed indipendente e lo faceva talmente bene che solo poche persone si erano accorte dell’inganno.

forse perché non si piaceva abbastanza, o forse perché si era convinta che non è la bellezza del corpo quella che conta davvero, non si prendeva cura di sé che per l’indispensabile. camminava distrattamente per le vie del centro, senza accorgersi di avere le scarpe slacciate o la camicia senza un bottone. molto tempo fa era sicura di poter fare tutto, di essere migliore di tutti, era forte delle certezze dell’adolescenza. oggi si sentiva meno intelligente, meno intraprendente, meno brillante, meno sorridente, meno tutto. per questo motivo evitava accuratamente discorsi di politica, di economia, di attualità, di sesso. non era in grado, o non credeva di esserlo.

lunedì 18 maggio 2015

contro.tempo

aveva aspettato quellagiusta per tanto tempo, aveva desiderato fortemente che fosse lei tutte le volte che aveva avuto una storia. finalmente Paola. il suo corpo minuto, la sua pelle chiarissima, il suo profumo di cannella, i capelli neri e lunghissimi quasi sempre raccolti in una treccia e quella sua aria da folletto. era lei, questa volta davvero. si amarono da subito, erano fatti l’uno per l’altra. qualche volta aveva sognato di raggiungerla in una casa sull’albero arrampicandosi sulla sua treccia. la casa non aveva scale ma lei poteva raggiungerla perché sapeva volare.

condividevano da poco un trilocale che avevano trovato con non poche difficoltà perché Paola desiderava che si affacciasse sul parco. lei si era divertita tanto a scegliere i mobili in uno di quei grandi negozi di arredamento che ti rubano una giornata intera. aveva abbinato i bicchieri alle tende della cucina e portato a casa un orologio tono su tono per la parete a fianco al divano. due quadri, qualche mensola e l’orologio attendevano fiduciosamente il loro momento, nascosti dietro la porta della cameretta.

lunedì 11 maggio 2015

cuorematto

l’aveva uccisa.

avevano discusso, come ogni mattina da un po’ troppo tempo, ma non aveva previsto che sarebbe finita così. la guardava inerte, stesa sul pavimento della cucina tra il tavolo e il frigorifero.

Lui era un quarantenne sicuro di se, negli anni della giovinezza aveva sognato un futuro da calciatore ed aveva anche giocato in squadre di un discreto livello. poi il sogno era svanito e aveva dovuto ripiegare su un rispettoso, quanto poco remunerativo, lavoro da magazziniere in un supermercato. Catia l’aveva conosciuta ai tempi della scuola e se ne era innamorato. lei non piaceva ai suoi amici che le criticavano un trascorso piuttosto libertino, quindi, per quelle strane dinamiche che si generano nell'intorno dei 16 anni, Lui le concesse solo degli incontri fugaci da adolescenti ma niente di più concreto. si erano persi di vista per anni ma si erano cercati vicendevolmente negli abbracci delle persone che avevano amato.

lunedì 4 maggio 2015

terra promessa

calmo. devo-stare-calmo. mi fanno male le gambe, che siamo qui da non so più neppure quanto. lo vedi quello? sua moglie è già in germania, mi ha detto che lei ce l’ha fatta e che ora lui deve, D E V E, raggiungerla. avrebbero dovuto partire insieme ma lui l’hanno preso e l’hanno portato a al wardia, al centro di detenzione, e i soldi glieli hanno presi per rimpatriarlo. è stato fortunato che c’è stato solo 8 giorni al centro.

io ci sono stato 26 giorni, anche io sono stato preso. avevo deciso di andare in Libia per partire già l’anno scorso ma poi la barca è stata intercettata e la garde nationale ci ha portati al porto di Sfax e da lì a al wardia. ho mangiato riso per tutti e 26 i giorni. ho provato a scappare ma mi hanno scoperto, le guardie mi hanno sfondato le ossa. poi ho comprato il biglietto per essere rimpatriato coi soldi che mi servivano per partire. mi hanno messo in una cella migliore, ci sono stato una settimana li.  non c’erano altre soluzioni, il centro era pieno e se non avessi preso il biglietto qualche notte mi avrebbero portato in algeria, appena oltre il confine, e mi avrebbero lasciato li.

lunedì 27 aprile 2015

incroci

metro, metro, metroooooooo gridava, cento volte ogni mattina, un signore di mezza età mentre distribuiva, col sorriso sulle labbra, un quotidiano gratuito. lo faceva tutti i giorni che il buon Dio ha mandato sulla terra, come se li regalasse lui quei giornali.

il dottore aveva cotonato i suoi capelli, troppo lunghi per l’età che ha, annodato la sua costosissima cravatta e, ritenendo che fosse tutto a posto, aveva inforcato gli occhiali neri e si era infilato nel buio della stazione.

una nuvola di capelli color di tramonto e qualche anno in più di settanta, Lei era davvero padrona di se stessa. lì davanti a tutti, mentre aspettava la metro, giocava con i guanti di pelle verde e con le scarpe col tacco, uno dei vezzi che ancora si concedeva. trasmetteva la sua bellezza semplicemente perché si sentiva bella e, tra se e se, rideva degli errori commessi in tutta una vita. si incantava alle facce e alle storie della gente e compensava con l’immaginazione quello che non riusciva a trasparire.

lunedì 20 aprile 2015

il pranzo è servito

anche se con buoni risultati, aveva portato avanti con poca passione il lavoro che fu di suo padre e, prima ancora, del padre di sua madre. lo aveva fatto per dovere di nascita perché, in effetti, avrebbe voluto fare tutt'altro.

come per i notai figli di notai e i farmacisti figli di farmacisti tutti ritenevano che fosse uno spreco far andare in fumo il lavoro di due vite e gli avevano devoluto la terza, nella speranza che questa ne producesse una quarta, e così via.

quella mattina mentre guardava il volo degli storni fuori dalla finestra, provò un senso di vuoto che gli procurò un piccolo mancamento e una grossa macchia di caffè sulla sua costosa cravatta. fu la prima volta che andò in ufficio con il primo bottone della camicia bianca aperto.

martedì 14 aprile 2015

camera con vista

quella mattina Lei si era svegliata prima del suono della sveglia -cosa di non poco conto per la dormigliona che è- e aveva cominciato maniacalmente a guardare il soffitto. le impercettibili imperfezioni dell’intonaco le sembrava formassero un disegno che non riusciva a focalizzare.

cominciava a sentirsi annoiata della sua solitudine in quel letto e, nonostante le avventure amorose non le mancassero, sentiva chiaramente l’esigenza di far cullare il suo sonno da un respiro pesante e, la domenica mattina, portare il caffè a letto a qualcuno in orari in cui sarebbe convenzionalmente troppo tardi, quando il sole alto invade la stanza facendola apparire perfetta.

lunedì 13 aprile 2015

autoscatto

tanto tempo fa ce l’avevo un blog, che questa idea di parlare con completi sconosciuti mi ha sempre vagato per la testa.
sono una che ha il piacere di inventare le storie incastonate negli occhi della gente che incontra, di tirarle fuori e rimescolarle un po’. unico lato di me che non è fissato a terra con quattro bulloni.


e questo è lo spazio che ho scelto per sollevarmi: buona lettura.