cornici

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martedì 14 aprile 2015

camera con vista

quella mattina Lei si era svegliata prima del suono della sveglia -cosa di non poco conto per la dormigliona che è- e aveva cominciato maniacalmente a guardare il soffitto. le impercettibili imperfezioni dell’intonaco le sembrava formassero un disegno che non riusciva a focalizzare.

cominciava a sentirsi annoiata della sua solitudine in quel letto e, nonostante le avventure amorose non le mancassero, sentiva chiaramente l’esigenza di far cullare il suo sonno da un respiro pesante e, la domenica mattina, portare il caffè a letto a qualcuno in orari in cui sarebbe convenzionalmente troppo tardi, quando il sole alto invade la stanza facendola apparire perfetta.

continuava a torturarsi gli occhi, ormai impastati dal mascara che la sera prima aveva rinunciato a levare per guadagnare qualche minuto di sonno, ripercorrendo mentalmente il percorso ad ostacoli che l’avrebbe portata a concludere quella giornata appena cominciata, che sapeva le avrebbe dato del filo da torcere.

si sarebbe struccata, infilata sotto una doccia bollente, vestita e truccata di nuovo. avrebbe mangiato dei pezzetti di torta al cioccolato strappati distrattamente dal tutto mentre sorseggiava una fumante tazza di the, probabilmente scottandosi le labbra, si sarebbe resa conto di come la torta fosse divenuta un incerto campo di battaglia e avrebbe cercato di restituirle un minimo di dignità con la lama di un coltello.

dopo venti minuti di traffico e qualche giro dell’isolato per trovare parcheggio, sarebbe arrivata in ufficio e avrebbe chiesto alla segretaria di fissarle un appuntamento col capo il prima possibile. lui credibilmente non l’avrebbe ricevuta prima delle 11, quindi avrebbe avuto il tempo di concludere la traduzione della perizia della villetta a Cap Ferrat a cui stava lavorando, rileggerla ed inviarla al dott. Falzi, primario cliente dell’agenzia e esponente di spicco del panorama immobiliare, con cui aveva avuto una delle sue liaison amorose e che, in intimità, voleva essere chiamato Django per il suo talento naturale con quella che (solo) lui riteneva un’arma da fuoco.

una volta che avrebbe avuto l’opportunità di incontrare gli occhi del capo, avrebbe fatto una premessa sui suoi ultimi lavori, per i quali aveva ottenuto numerosi apprezzamenti, sul fatto che le traduzioni che le venivano affidate vertevano su temi così specifici e così diversi tra loro da richiedere delle competenze tecniche in materie numerose e eterogenee. avrebbe poi sottolineato quanto fosse evidente il suo ruolo di coordinamento dei ragazzi che si occupavano delle traduzioni tecniche e finanziarie (un campo molto vasto che comprendeva traduzioni di manuali tecnici industriali, di contratti internazionali, di prospetti finanziari, di statuti societari, di verbali di assemblea, di procure, di ricorsi legali, di brevetti etc.) e gli avrebbe finalmente richiesto, se nell’elastico del suo professionalissimo golf grigiocannadifucile avesse trovato il coraggio, di ufficializzare quella mansione esplicitando la disponibilità a lavorare fino a tardi e, se necessario –visto che gli affari andavano piuttosto bene, sapeva che lo era- anche nei fine settimana.

nonostante la luce che ormai filtrava copiosa dalla finestra, il disegno sul soffitto non aveva alcuna intenzione di palesarsi a lei che, ostinandosi nell’attività di unione di puntini non numerati, si era procurata uno dei più insolenti mal di testa degli ultimi mesi, compreso quello post sbornia rimediato martedì a causa della serata da vera amica che aveva regalato a Marta, per la sua separazione da Thomas.

il colloquio con il capo l’avrebbe tenuta impegnata fino all’ora di pranzo, che lei aveva già ipotecato con il consueto corso di pilates del giovedì, l’unica nota pseudo-rilassante della giornata.
alle 14.30 sarebbe tornata in ufficio e, avendo assimilato la risposta del capo tra spine stretch e criss-cross, sarebbe riuscita a domare il suo umore, tremendamente eccitato o profondamente deluso, per cominciare la traduzione del brevetto di una assurda macchinetta affettaverdure che, secondo l’altrettanto assurdo inventore, avrebbe fatto parlare di se in tre quarti del globo terrestre.

appena fuori da quelle quattro mura sarebbe passata a rinnovare l’abbonamento a teatro e avrebbe raggiunto Carla nel suo appartamento eccentrico e disordinato, con un sacchetto colmo di maki e sashimi di tonno acquistati al take away, per cominciare a pianificare il viaggio in Congo che avevano idea di fare a settembre. sarebbe stata una di quelle esperienze che ti consentono di ridimensionare enormemente i tuoi problemi di ogni giorno, avrebbero partecipato a un progetto con l’obiettivo di avviare corsi di alfabetizzazione per bambini e adulti.

il Congo. forse erano i confini del Congo quelli descritti dalle imperfezioni del soffitto… erano le settemenodieci e cominciava a pensare che si riuscisse addirittura a vedere da fuori il pulsare vertiginoso delle sue tempie e per la sveglia ci sarebbero voluti ancora 40 minuti.

nell’indecisione se restare a letto o approfittare del tempo che le era stato regalato da quella sveglia prematura per vuotare la lavastoviglie, il mal di testa svanì di colpo, i puntini si unirono senza sforzo ed era tutto così chiaro.
un bambino, si trattava del profilo di un bambino, voltato verso sinistra, con le braccia protese.

era incinta.

2 commenti :

  1. Il modo in cui scrivi è molto coinvolgente..e come dico quando un libro mi piace "m'acchiappa" un sacco.
    In bocca al lupo

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