quella mattina Lei si era svegliata prima del suono della
sveglia -cosa di non poco conto per la dormigliona che è- e aveva cominciato
maniacalmente a guardare il soffitto. le impercettibili imperfezioni
dell’intonaco le sembrava formassero un disegno che non riusciva a focalizzare.
cominciava a sentirsi annoiata della sua solitudine in quel
letto e, nonostante le avventure amorose non le mancassero, sentiva chiaramente
l’esigenza di far cullare il suo sonno da un respiro pesante e, la domenica
mattina, portare il caffè a letto a qualcuno in orari in cui sarebbe
convenzionalmente troppo tardi, quando il sole alto invade la stanza facendola
apparire perfetta.
continuava a torturarsi gli occhi, ormai impastati dal
mascara che la sera prima aveva rinunciato a levare per guadagnare qualche
minuto di sonno, ripercorrendo mentalmente il percorso ad ostacoli che
l’avrebbe portata a concludere quella giornata appena cominciata, che sapeva le
avrebbe dato del filo da torcere.
si sarebbe struccata, infilata sotto una doccia bollente,
vestita e truccata di nuovo. avrebbe mangiato dei pezzetti di torta al
cioccolato strappati distrattamente dal tutto mentre sorseggiava una fumante
tazza di the, probabilmente scottandosi le labbra, si sarebbe resa conto di
come la torta fosse divenuta un incerto campo di battaglia e avrebbe cercato di
restituirle un minimo di dignità con la lama di un coltello.
dopo venti minuti di traffico e qualche giro dell’isolato
per trovare parcheggio, sarebbe arrivata in ufficio e avrebbe chiesto alla
segretaria di fissarle un appuntamento col capo il prima possibile. lui
credibilmente non l’avrebbe ricevuta prima delle 11, quindi avrebbe avuto il
tempo di concludere la traduzione della perizia della villetta a Cap Ferrat a
cui stava lavorando, rileggerla ed inviarla al dott. Falzi, primario cliente
dell’agenzia e esponente di spicco del panorama immobiliare, con cui aveva
avuto una delle sue liaison amorose e
che, in intimità, voleva essere chiamato Django
per il suo talento naturale con quella che (solo) lui riteneva un’arma da
fuoco.
una volta che avrebbe avuto l’opportunità di incontrare gli
occhi del capo, avrebbe fatto una premessa sui suoi ultimi lavori, per i quali
aveva ottenuto numerosi apprezzamenti, sul fatto che le traduzioni che le
venivano affidate vertevano su temi così specifici e così diversi tra loro da
richiedere delle competenze tecniche in materie numerose e eterogenee. avrebbe poi
sottolineato quanto fosse evidente il suo ruolo di coordinamento dei ragazzi
che si occupavano delle traduzioni tecniche e finanziarie (un campo molto vasto
che comprendeva traduzioni di manuali tecnici industriali, di contratti
internazionali, di prospetti finanziari, di statuti societari, di verbali di
assemblea, di procure, di ricorsi legali, di brevetti etc.) e gli avrebbe
finalmente richiesto, se nell’elastico del suo professionalissimo golf grigiocannadifucile avesse trovato il
coraggio, di ufficializzare quella mansione esplicitando la disponibilità a
lavorare fino a tardi e, se necessario –visto che gli affari andavano
piuttosto bene, sapeva che lo era- anche nei fine settimana.
nonostante la luce che ormai filtrava copiosa dalla
finestra, il disegno sul soffitto non aveva alcuna intenzione di palesarsi a
lei che, ostinandosi nell’attività di unione di puntini non numerati, si era
procurata uno dei più insolenti mal di testa degli ultimi mesi, compreso quello
post sbornia rimediato martedì a causa della serata da vera amica che aveva
regalato a Marta, per la sua separazione da Thomas.
il colloquio con il capo l’avrebbe tenuta impegnata fino
all’ora di pranzo, che lei aveva già ipotecato con il consueto corso di pilates
del giovedì, l’unica nota pseudo-rilassante della giornata.
alle 14.30 sarebbe tornata in ufficio e, avendo assimilato
la risposta del capo tra spine stretch e criss-cross, sarebbe riuscita a domare il suo umore, tremendamente
eccitato o profondamente deluso, per cominciare la traduzione del brevetto di
una assurda macchinetta affettaverdure che, secondo l’altrettanto assurdo
inventore, avrebbe fatto parlare di se in tre quarti del globo terrestre.
appena fuori da quelle quattro mura sarebbe passata a
rinnovare l’abbonamento a teatro e avrebbe raggiunto Carla nel suo appartamento
eccentrico e disordinato, con un sacchetto colmo di maki e sashimi di tonno
acquistati al take away, per cominciare a pianificare il viaggio in Congo che avevano
idea di fare a settembre. sarebbe stata una di quelle esperienze che ti
consentono di ridimensionare enormemente i tuoi problemi di ogni giorno,
avrebbero partecipato a un progetto con l’obiettivo di avviare corsi di
alfabetizzazione per bambini e adulti.
il Congo. forse erano i confini del Congo quelli descritti
dalle imperfezioni del soffitto… erano le settemenodieci
e cominciava a pensare che si riuscisse addirittura a vedere da fuori il
pulsare vertiginoso delle sue tempie e per la sveglia ci sarebbero voluti
ancora 40 minuti.
nell’indecisione se restare a letto o approfittare del tempo
che le era stato regalato da quella sveglia prematura per vuotare la
lavastoviglie, il mal di testa svanì di colpo, i puntini si unirono senza
sforzo ed era tutto così chiaro.
un bambino, si trattava del profilo di un bambino, voltato
verso sinistra, con le braccia protese.
era incinta.
Il modo in cui scrivi è molto coinvolgente..e come dico quando un libro mi piace "m'acchiappa" un sacco.
RispondiEliminaIn bocca al lupo
grazie "anonimo" acchiappato!
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