metro, metro,
metroooooooo gridava, cento volte ogni mattina, un signore di mezza età
mentre distribuiva, col sorriso sulle labbra, un quotidiano gratuito. lo faceva
tutti i giorni che il buon Dio ha mandato sulla terra, come se li regalasse lui
quei giornali.
il dottore aveva cotonato i suoi capelli, troppo lunghi per
l’età che ha, annodato la sua costosissima cravatta e, ritenendo che fosse
tutto a posto, aveva inforcato gli occhiali neri e si era infilato nel buio
della stazione.
una nuvola di capelli color di tramonto e qualche anno in
più di settanta, Lei era davvero padrona di se stessa. lì davanti a tutti,
mentre aspettava la metro, giocava con i guanti di pelle verde e con le scarpe
col tacco, uno dei vezzi che ancora si concedeva. trasmetteva la sua bellezza
semplicemente perché si sentiva bella e, tra se e se, rideva degli errori
commessi in tutta una vita. si incantava alle facce e alle storie della gente e
compensava con l’immaginazione quello che non riusciva a trasparire.
la signora, con un viaggio alle spalle più lungo e difficile
di quello che percorre ogni giorno con la metro, aveva recuperato un amplificatore
e ora, il solito ritornello di una canzone della tradizione italiana, lo cantava
al microfono, con un improbabile accento dell’est. aveva comunque le unghie
lunghe e dipinte e non importava se il giaccone cadeva a pezzi o se la gonna
palesava la sua età.
quel viaggio Lei lo faceva tutte le settimane da cinque
anni. partenza il venerdì pomeriggio, intorno alle 17. due fermate di metro e
poi quaranta minuti in treno. Paolo la veniva a prendere alla stazione, la
aspettava col cappello in mano di fronte all'edicola, sotto l’arco e trascorrevano
il fine settimana in campagna, da lui. Lei non aveva mai voluto lasciare il suo
appartamento in città e, d’altra parte, questa fuga –seppur ormai consueta-
conferiva alla relazione un senso di clandestinità.
Paolo era un architetto che aveva lasciato sua moglie e una
vecchiaia tranquilla per Lei. per ficcare il naso in quella nuvola di capelli
ricci e respirare il suo profumo da signora. non aveva avuto figli e non ne
voleva anche se adesso, ogni tanto, si concedeva una chiacchierata davanti alla
finestra con quell'evanescente ragazzo
bruno, dagli occhi vispi a cui spiegare i segreti della vita che,
inesorabilmente, si scoprono troppo tardi.
in treno sceglieva sempre un posto tra gli ultimi della
carrozza, nella parte sinistra e vicino al finestrino. le piaceva vedere lo
stesso panorama che si modifica nelle stagioni. il verde carico della
primavera, il giallo forte dell’estate, il rosso dell’autunno, e ora la neve
che copre tutto, copre i capannoni industriali della periferia, che pur
volavano via in fretta, copre le colline addormentate e copre perfino il rumore
del treno o quantomeno lo attutisce.
il ragazzo nel sedile di fronte leggeva di un best seller,
di quelli che Lei in libreria non degnava di uno sguardo, quello a fianco le
fotocopie ordinatissime di un trattato di psicologia ed evidenziava di arancio
una frase qua, una là. la ragazza del salottino a fianco, accompagnata da suo
padre, che abbassava nervosamente la gonna, si levò il golf, lo piegò con
meticolosità e lo ripose nello zaino azzurro che aveva preso alla giornata
mondiale della gioventù.
il venerdì Paolo la portava a cena sempre nello stesso
posto, prendevano tortellini e cabernet sauvignon d’inverno e polipo in
insalata e due calici di gewurztraminer con la bella stagione. era esattamente
quando si passava dal vino rosso a quello bianco il momento in cui indossare le
calze velate e virare al profumo estivo.
il sabato mattina si svegliavano quasi sempre insieme,
prestissimo. lui preparava il caffè, che accompagnava con un piccolo regalo, un cioccolatino fondente o un fiore di campo,
si vestivano e passeggiavano fino al paese, dove compravano il giornale,
scambiavano quattro chiacchiere con i negozianti -sempre gli stessi- dai quali
acquistavano cibo e consigli per cucinarlo.
pranzavano in casa, Lei riassettava la cucina mentre Paolo
la chiamava insistentemente perché si sedesse accanto a lui sul divano e,
appoggiata al suo petto, ricominciasse la lettura interrotta il fine settimana
prima di uno di quei romanzi impegnati che lui odiava. quel momento Paolo lo
respirava a pieni polmoni. era esattamente quello l’istante in cui ringraziava Dio
di aver conosciuto quella donna, mentre si inebriava dei suoi capelli.
la sera vedevano in tv film in bianco e nero che sceglieva
Paolo. Lei si addormentava quasi sempre poco prima del finale e lui, riaccompagnandola
a letto ne impacchettava uno per sorprenderla. a un certo punto della relazione
aveva anche pensato che il sonno la cogliesse per regalare a Paolo quel ruolo
di narratore e a lei quel privilegio.
nella stazione precedente era salita una ragazza, una di
quelle della cittàbene, che tradiva
la sua borsetta burberry e le sue ballerine bon ton ruminando rumorosamente una
gomma da masticare e i suoi pensieri. fortunatamente Lei sarebbe scesa alla
prossima, che una delle cose che peggio tollerava erano i rumori di
masticazione.
avevano l’abitudine di salutarsi la domenica pomeriggio Lei
e Paolo e non chiamarsi mai, per tutta la settimana. come a conservare quella
loro relazione in una bolla, come se fossero amanti e nei giorni feriali
tornassero alle loro vite, anche se erano soli e avevano raggiunto quell'età in
cui non bisogna dar conto a nessuno delle proprie faccende. lui le sfiorava il profilo con l’indice, interrompendosi sulla punta del naso, poi le baciava
delicatamente le labbra e le sussurrava arrivederci
bambina. una frase che, seppur paradossale, in quel contesto non pareva
affatto ridicola.
si avvicinava il momento di scendere, indossò il cappotto,
si curò di appianare le pieghe lisciandolo con le mani, avvolse la sciarpa
intorno al collo e ci infilò la faccia, fin sopra il naso. si infilò i suoi guanti
verdi e prese la borsetta. non portava
mai una valigia, aveva lì tutto quello che serviva. un bel controsenso per una
relazione finto clandestina…
quando si fermò il treno si strinse nelle spalle e tirò su
lo sguardo a cercare quello di Paolo. lui non c’era più, ma non nella stazione,
non di fronte all'edicola, non sotto l’arco. nel mondo.
fu allora che Lei, nel cercare ancora un po’ di quella vita
che la rendeva viva, incrociò degli occhi verdi, segnati da profonde occhiaie,
ed ebbe la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere una bella storia.
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