cornici

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lunedì 27 aprile 2015

incroci

metro, metro, metroooooooo gridava, cento volte ogni mattina, un signore di mezza età mentre distribuiva, col sorriso sulle labbra, un quotidiano gratuito. lo faceva tutti i giorni che il buon Dio ha mandato sulla terra, come se li regalasse lui quei giornali.

il dottore aveva cotonato i suoi capelli, troppo lunghi per l’età che ha, annodato la sua costosissima cravatta e, ritenendo che fosse tutto a posto, aveva inforcato gli occhiali neri e si era infilato nel buio della stazione.

una nuvola di capelli color di tramonto e qualche anno in più di settanta, Lei era davvero padrona di se stessa. lì davanti a tutti, mentre aspettava la metro, giocava con i guanti di pelle verde e con le scarpe col tacco, uno dei vezzi che ancora si concedeva. trasmetteva la sua bellezza semplicemente perché si sentiva bella e, tra se e se, rideva degli errori commessi in tutta una vita. si incantava alle facce e alle storie della gente e compensava con l’immaginazione quello che non riusciva a trasparire.

la signora, con un viaggio alle spalle più lungo e difficile di quello che percorre ogni giorno con la metro, aveva recuperato un amplificatore e ora, il solito ritornello di una canzone della tradizione italiana, lo cantava al microfono, con un improbabile accento dell’est. aveva comunque le unghie lunghe e dipinte e non importava se il giaccone cadeva a pezzi o se la gonna palesava la sua età.

quel viaggio Lei lo faceva tutte le settimane da cinque anni. partenza il venerdì pomeriggio, intorno alle 17. due fermate di metro e poi quaranta minuti in treno. Paolo la veniva a prendere alla stazione, la aspettava col cappello in mano di fronte all'edicola, sotto l’arco e trascorrevano il fine settimana in campagna, da lui. Lei non aveva mai voluto lasciare il suo appartamento in città e, d’altra parte, questa fuga –seppur ormai consueta- conferiva alla relazione un senso di clandestinità.

Paolo era un architetto che aveva lasciato sua moglie e una vecchiaia tranquilla per Lei. per ficcare il naso in quella nuvola di capelli ricci e respirare il suo profumo da signora. non aveva avuto figli e non ne voleva anche se adesso, ogni tanto, si concedeva una chiacchierata davanti alla finestra con quell'evanescente  ragazzo bruno, dagli occhi vispi a cui spiegare i segreti della vita che, inesorabilmente, si scoprono troppo tardi.

in treno sceglieva sempre un posto tra gli ultimi della carrozza, nella parte sinistra e vicino al finestrino. le piaceva vedere lo stesso panorama che si modifica nelle stagioni. il verde carico della primavera, il giallo forte dell’estate, il rosso dell’autunno, e ora la neve che copre tutto, copre i capannoni industriali della periferia, che pur volavano via in fretta, copre le colline addormentate e copre perfino il rumore del treno o quantomeno lo attutisce.

il ragazzo nel sedile di fronte leggeva di un best seller, di quelli che Lei in libreria non degnava di uno sguardo, quello a fianco le fotocopie ordinatissime di un trattato di psicologia ed evidenziava di arancio una frase qua, una là. la ragazza del salottino a fianco, accompagnata da suo padre, che abbassava nervosamente la gonna, si levò il golf, lo piegò con meticolosità e lo ripose nello zaino azzurro che aveva preso alla giornata mondiale della gioventù.

il venerdì Paolo la portava a cena sempre nello stesso posto, prendevano tortellini e cabernet sauvignon d’inverno e polipo in insalata e due calici di gewurztraminer con la bella stagione. era esattamente quando si passava dal vino rosso a quello bianco il momento in cui indossare le calze velate e virare al profumo estivo.

il sabato mattina si svegliavano quasi sempre insieme, prestissimo. lui preparava il caffè, che accompagnava con un piccolo regalo,  un cioccolatino fondente o un fiore di campo, si vestivano e passeggiavano fino al paese, dove compravano il giornale, scambiavano quattro chiacchiere con i negozianti -sempre gli stessi- dai quali acquistavano cibo e consigli per cucinarlo.

pranzavano in casa, Lei riassettava la cucina mentre Paolo la chiamava insistentemente perché si sedesse accanto a lui sul divano e, appoggiata al suo petto, ricominciasse la lettura interrotta il fine settimana prima di uno di quei romanzi impegnati che lui odiava. quel momento Paolo lo respirava a pieni polmoni. era esattamente quello l’istante in cui ringraziava Dio di aver conosciuto quella donna, mentre si inebriava dei suoi capelli.

la sera vedevano in tv film in bianco e nero che sceglieva Paolo. Lei si addormentava quasi sempre poco prima del finale e lui, riaccompagnandola a letto ne impacchettava uno per sorprenderla. a un certo punto della relazione aveva anche pensato che il sonno la cogliesse per regalare a Paolo quel ruolo di narratore e a lei quel privilegio.

nella stazione precedente era salita una ragazza, una di quelle della cittàbene, che tradiva la sua borsetta burberry e le sue ballerine bon ton ruminando rumorosamente una gomma da masticare e i suoi pensieri. fortunatamente Lei sarebbe scesa alla prossima, che una delle cose che peggio tollerava erano i rumori di masticazione.

avevano l’abitudine di salutarsi la domenica pomeriggio Lei e Paolo e non chiamarsi mai, per tutta la settimana. come a conservare quella loro relazione in una bolla, come se fossero amanti e nei giorni feriali tornassero alle loro vite, anche se erano soli e avevano raggiunto quell'età in cui non bisogna dar conto a nessuno delle proprie faccende. lui le sfiorava il profilo con l’indice, interrompendosi sulla punta del naso, poi le baciava delicatamente le labbra e le sussurrava arrivederci bambina. una frase che, seppur paradossale, in quel contesto non pareva affatto ridicola.

si avvicinava il momento di scendere, indossò il cappotto, si curò di appianare le pieghe lisciandolo con le mani, avvolse la sciarpa intorno al collo e ci infilò la faccia, fin sopra il naso. si infilò i suoi guanti verdi  e prese la borsetta. non portava mai una valigia, aveva lì tutto quello che serviva. un bel controsenso per una relazione finto clandestina…

quando si fermò il treno si strinse nelle spalle e tirò su lo sguardo a cercare quello di Paolo. lui non c’era più, ma non nella stazione, non di fronte all'edicola, non sotto l’arco. nel mondo.

fu allora che Lei, nel cercare ancora un po’ di quella vita che la rendeva viva, incrociò degli occhi verdi, segnati da profonde occhiaie, ed ebbe la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere una bella storia.

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