niente è rimasto come allora, ricordo un natale di qualche
anno fa, avevo regalato ad Anna un braccialetto di diamanti, lo avevo nascosto in un suo
vecchio foulard sostenendo di non aver avuto tempo per andare a comprarle un
regalo vero. si vedeva nel suo sguardo che era profondamente delusa ma non
aveva detto una parola. stava addirittura abbozzando un sorriso di circostanza
con i suoi mentre srotolava il foulard per indossarlo. era stata così contenta
poi, quando l’aveva trovato! aveva riso di gusto quando l’avevamo presa in giro
per quella faccia triste.
poi le cose sono precipitate, il lavoro non faceva che
diminuire. poi i guai, le accuse di estorsione, i soci, gli avvocati, le banche…
tutti contro di me, perfino quelli che da me avevano campato. quelli che sono
amici finché le cose vanno bene. abbiamo chiuso la magenta. fallita. bancarotta
mi hanno dato. io ci ho provato a uccidermi, volevo spararmi ma non ne ho avuto
il coraggio. ho preso la pistola che tenevo sotto al forno e l’ho puntata alla
tempia in camera da letto ma quando ho visto la mia immagine riflessa allo
specchio non ce l’ho fatta. ho pensato ai ragazzi, e ad Anna. ho immaginato le
loro facce alla vista di tutto quel sangue e me, riverso per terra.
allora ho pensato che avrei dovuto farlo nel luogo che aveva causato tutti i miei mali, quelli della mia famiglia. che io nella giustizia ci credevo. poi…
avevo avvolto la pistola e due caricatori in un telo, c’erano
le guardie, sono passato sotto al metal detector e ho infilato la ventiquattr’ore
nel tunnel, se mi avessero fermato avrei confessato di volermi togliere la vita
nel posto simbolo di quella giustizia ingiusta che me l’aveva già tolta. invece
nessuno mi ha chiesto nulla, nessuno ha voluto fare un accertamento in più. se
mi avessero fermato almeno avrei avuto la possibilità di sfogarmi. avrei
buttato fuori tutto.
ero come dentro a un tunnel, che hai quella piccola ansia ma
sai che quella è l’unica strada per uscire, e devi andare avanti e basta.
quando il mio avvocato ha deciso di rinunciare al mandato, mi ha guardato negli
occhi e si è tolto la toga. era chiaro che doveva finire lì quella vita di soprusi
e di persone malvagie. doveva deporre la segretaria ed invece hanno chiamato
Appiani, sono impazzito. ho tirato fuori la pistola dalla borsa e ho sparato. ho
ucciso l’avvocato al banco, poi il giudice e Giorgio, il mio socio. ho sparato e ancora e ancora. e sono corso via.
c’era Verna, ho sparato anche a lui, ero impazzito vi ho
detto, la testa mi diceva che dovevo sparare. poi al secondo piano ho visto l’ufficio del giudice, lo sentivo ridere e lo immaginavo a casa sua, soddisfatto del suo lavoro. non sono entrato, me lo ricordo davanti la finestra. gli ho sparato
dal corridoio. poi ho fatto la strada inversa e sono uscito dal tribunale. avevo
bisogno di un attimo di calma. mentre tornavo al motorino ho acceso una sigaretta.
racconto liberamente tratto da quanto appreso dalle testate giornalistiche sulla vicenda di claudio giardiello, il killer del tribunale di milano.
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