cornici

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lunedì 11 maggio 2015

cuorematto

l’aveva uccisa.

avevano discusso, come ogni mattina da un po’ troppo tempo, ma non aveva previsto che sarebbe finita così. la guardava inerte, stesa sul pavimento della cucina tra il tavolo e il frigorifero.

Lui era un quarantenne sicuro di se, negli anni della giovinezza aveva sognato un futuro da calciatore ed aveva anche giocato in squadre di un discreto livello. poi il sogno era svanito e aveva dovuto ripiegare su un rispettoso, quanto poco remunerativo, lavoro da magazziniere in un supermercato. Catia l’aveva conosciuta ai tempi della scuola e se ne era innamorato. lei non piaceva ai suoi amici che le criticavano un trascorso piuttosto libertino, quindi, per quelle strane dinamiche che si generano nell'intorno dei 16 anni, Lui le concesse solo degli incontri fugaci da adolescenti ma niente di più concreto. si erano persi di vista per anni ma si erano cercati vicendevolmente negli abbracci delle persone che avevano amato.


si erano ritrovati un’estate di molti anni dopo e fu come se la maturità conquistata gli avesse regalato la voglia di costruire qualcosa insieme. si sposarono quasi subito forse più per la sorpresa di esserci ancora che per la consapevolezza di essere fatti l’uno per l’altra.

Catia si era ammalata l’anno stesso in cui si erano sposati. allora diceva che per la felicità di averlo saldamente legato a sé, il suo cuore aveva cominciato a perdere colpi. il cuorematto, come lo chiamava lei. aveva un mixoma, una neoplasia cardiaca che stava tenendo sotto controllo. lei era l’unica ad occuparsi della sua malattia, Lui non se n’era mai voluto interessare, al punto tale che non ne ricordava neppure il nome. cuorematto gli era sufficiente.

registrava fatture presso un commercialista Catia, un lavoro che Lui faticava a definire tale. fondamentalmente non tollerava l’idea che quel passatempo fosse retribuito meglio del suo sudore. quando tornava stanca, magari in periodi prossimi alle scadenze, la guardava con fastidio e superiorità. d’altra parte le toccava stare accomodata davanti a una specie di televisione, che fatica era mai quella? Lui lavorava davvero! un lavoro con la elle maiuscola, usciva di casa alle quattro di mattina e scaricava casse per ore e ore, in qualsiasi condizione climatica e senza sedersi neppure per il tempo di una sigaretta!

discutevano su tutto, principalmente per motivi futili, fondamentalmente perché entrambi avevano un carattere molto forte. Catia criticava aspramente l’immaturità di lui, che la attaccava per il suoi modi autoritari. era un circolo vizioso. quella mattina, per esempio,  avevano discusso perché Lui aveva vuotato il filtro della caffettiera direttamente nel lavandino e aveva lasciato i fondi del caffè così, in bella mostra di sé. Catia ne aveva fatto -come sempre- una metafora della vita, accusandolo di menefreghismo nei confronti suoi, della casa, della famiglia, dei potenziali ospiti e del mondo intero. Lui aveva ribattuto che non era mai contenta, che non apprezzava nulla, neppure il fatto che quella domenica era cominciata col caffè che gli aveva portato a letto. poi si erano vomitati addosso l’impossibile, urlando per coprire le urla dell’altro.

aveva indosso il pigiama, il frigorifero era ancora aperto, cadendo aveva rovesciato una sedia e per terra c’erano i cocci della tazza che teneva in mano. su una pozza di latte che continuava ad allargarsi navigavano i suoi capelli neri. quel maledetto cuorematto l’aveva uccisa.

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