aveva aspettato quellagiusta per tanto tempo, aveva
desiderato fortemente che fosse lei tutte le volte che aveva avuto una storia.
finalmente Paola. il suo corpo minuto, la sua pelle chiarissima, il suo profumo
di cannella, i capelli neri e lunghissimi quasi sempre raccolti in una treccia
e quella sua aria da folletto. era lei, questa volta davvero. si amarono da
subito, erano fatti l’uno per l’altra. qualche volta aveva sognato di
raggiungerla in una casa sull’albero arrampicandosi sulla sua treccia. la casa
non aveva scale ma lei poteva raggiungerla perché sapeva volare.
condividevano da poco un trilocale che avevano trovato con
non poche difficoltà perché Paola desiderava che si affacciasse sul parco. lei
si era divertita tanto a scegliere i mobili in uno di quei grandi negozi di
arredamento che ti rubano una giornata intera. aveva abbinato i bicchieri alle
tende della cucina e portato a casa un orologio tono su tono per la parete a
fianco al divano. due quadri, qualche mensola e l’orologio attendevano fiduciosamente
il loro momento, nascosti dietro la porta della cameretta.
quando aveva riattaccato il telefono gli tremavano le gambe.
era ancora stordito, non era sicuro di aver capito bene ma sapeva di doversi
precipitare da lei. si era rotolato giù dal divano, anche se ci si era appena
accomodato dopo un pomeriggio di quei piccoli lavori che gli uomini sono capaci
di rimandare per cent’anni. aveva corso lungo le scale, perché l’ascensore era
–come al solito- intrappolato dalla trascuratezza della signora del quinto
piano, aveva salutato il portiere tanto distrattamente che non sapeva neppure
se ci fosse in guardiola, uscì lasciando il cancello aperto e dimenticando ogni
secondo trascorso, giusto un secondo dopo.
aveva trovato la macchina solo perché, per la prima volta in
vita sua, gli era capitato di parcheggiare proprio sotto casa, ci si era
tuffato dentro neppure troppo convinto che fosse la sua e aveva guidato
correndo come un pazzo, nella speranza di fare in tempo. gli alberi ai lati del
viale fuggivano via in una macchia verde senza interruzioni, la stessa che
riempiva la sua testa. il tragitto, seppur lungo, era ottimizzato dal poco
traffico regalatogli dalla prima domenica di sole che aveva portato tutta la
città al mare.
aveva corso sulle scale e attraversato affannosamente il
corridoio verdino e lucido dell’ospedale, abbagliato dai neon e dalle emozioni.
non aveva fatto caso ai pazienti, non sapeva se ci fossero dei visitatori
seduti in sala d’aspetto né se nel suo percorso a ostacoli avesse incontrato
qualcuno che conosceva o qualcuno, in generale.
purtroppo non aveva fatto in tempo. aveva il cuore che stava
per scoppiare e gli occhi colmi di lacrime, aveva incontrato lo sguardo
dell’infermiera che gli aveva restituito un sorriso di circostanza. Paola, quellagiusta, aveva fatto tutto da sola.
strinse a se quel corpicino tiepido e fragile che profumava di cannella.
sua figlia.
sorrise, cercò lo sguardo di Paola, stesa sul letto lì
dietro e disse solo puoi essere fiera di
me, ho montato le mensole.
molto molto carino.
RispondiEliminagrazie!
Elimina