cornici

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lunedì 8 giugno 2015

avvolti

Lei, quarantotto anni appena compiuti, sposata, due figli adolescenti. fisico asciutto e minuto, mani grandi ma curate. concreta, ordinata, metodica, innamorata della vita e malinconica. era stata una figlia scapestrata ed era diventata una madre severa ma giusta ed una buona moglie. aveva una vera passione per il gioco del lotto, tentava tutti i concorsi a premi dei prodotti che acquistava e collezionava mollette per il bucato.

tutte le mattine da quindici anni a quella parte si recava in ufficio alla stessa ora, timbrava il cartellino, saliva a piedi quei due piani di scale, appendeva borsa e soprabito all'appendiabiti e si sedeva sulla sedia bordeaux che non aveva voluto cambiare perché le piaceva l’idea di mantenere tutto come l’aveva trovato benché fosse troppo rigida per gli standard moderni.

da un paio d’anni le era toccata la responsabilità di quel piccolo ufficio dell’università in cui sbrigava pratiche relative a maternità, malattie, infortuni e pensionamenti, aveva due collaboratrici anche se forse sarebbe stata sufficiente una sola ed ogni tanto, per interrompere un po’ la monotonia, le mandavano anche uno di quegli studentelli sbarbati che meritano qualche ora di lavoro.
l’ultimo che le avevano mandato, la settimana scorsa, si chiamava Vincenzo. un ventiduenne pelle e ossa, nascosto dietro un paio di occhiali alla moda e un taglio di capelli e di barba troppo audace per quello che poteva permettersi, uno di quei ragazzini che si iscrivono all’università dopo aver passato i cinque anni del liceo a passare i compiti ai compagni. uno studente perfetto, in regola con gli esami, ottimi voti, vita relativamente assente, non un amico, figuriamoci una ragazza… un secchione di livello, insomma.

Lei lo aveva guardato con la sufficienza che le derivava da tutti i guai che aveva combinato alla sua età e, tutto sommato, anche con un po’ di compassione, per l’incoscienza che Vincenzo padroneggiava nel mandare via quei giorni degli anni migliori della sua vita. lo tollerava solo per dovere. non sopportava quel fare da maestrino che aveva dimostrato fin da subito quando, a fine della sua prima mattinata, aveva fatto -con tono cantalenante-  un resoconto di quanto non andasse in ufficio: bisogna ruotare la scrivania perché la luce della finestra riflette sullo schermo, sarebbe opportuno far installare direttamente a parete una presa tedesca invece di utilizzare un adattatore, bisogna far fare una derattizzazione perché ho notato delle cose che potrebbero essere escrementi di topo, bisogna chiamare il manutentore perché il rubinetto del lavandino del bagno degli uomini gocciola.
tutto d’un fiato: insopportabile.

Lei aveva risposto senza neppure tirare su lo sguardo dal monitor:
la scrivania deve stare così: ruota il monitor, l’adattatore fa il suo lavoro, la derattizzazione l’hanno fatta dieci giorni fa e la perdita del bagno, se riesci a tranquillizzarmi sul fatto che non creerà danni all’intera umanità, la facciamo sistemare quando il manutentore passerà da queste parti per tragedie più gravi. E rispose che la tragedia più grave si era finalmente manifestata quando la avvisò che la tapparella della finestra della sua stanza non saliva né scendeva, si era fermata a tre quarti.

lì tutti a bocca aperta e con lo sguardo in aria a godersi la variazionesultema. Lei, le sue fidate collaboratrici anche se forse sarebbe stata sufficiente una sola e Vincenzo. il manutentore confessò la causa di quell'inceppamento un topo è rimasto intrappolato avvolto nella tapparella- disse.

Vincenzo dondolava con aria furbetta e colpevole… lo strattonatore folle era stato proprio lui, quando aveva sentito un rumorino provenire dal cassettone. 

aveva risolto tre problemi su quattro.

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