si trovava lì a causa di una di quelle serate, che capitano
a tutti prima o poi, in cui ci si impegna per davvero ad essere diversi da
quelli che si è. una di quelle serate in cui si è fatto finta di essere
indipendenti, emancipate, affrancate dalla paura di ciò che gli altri pensano
di noi stessi. una di quelle serate in cui si finge di non soffrire la
solitudine di dentro, o la si soffre talmente tanto da sentire la necessità di colmarla
con voci sconosciute, chiasso e alcool.
si era svegliata una mattina in quella fase della vita in
cui si dovrebbero fare dei bilanci ma si ha paura di rilevare che qualcosa è
andato storto e l’utile tanto agognato, alla fine, non c’è. era una donna di una sensibilità estrema, invadente,
minacciosa. c’era
un velo nei suoi occhi e una gabbia nel suo cuore. ogni sussurro del mondo le provocava brividi incontenibili.
la sera in questione risaliva a sei settimane prima, dopo
una piccola delusione, una di quelle che in periodi migliori della sua vita non
avrebbe neppure considerato tale, aveva indossato un abito scollato e una buona
dose di mascara ed era andata in un bar in centro. era un locale con le luci
basse in cui conosci lo sguardo del barista ma non il nome. un ragazzo con la
chitarra suonava perso in un blues malinconico e stonato e un uomo, di cui
ricordava solo le mani, le aveva offerto qualche bicchiere di vino e un
abbraccio.
si era risvegliata quando il sole era già alto, sola, in una
stanza d’albergo. non aveva idea di come ci fosse arrivata lì, né di come si
fossero svolte le ultime ore. quando era scesa nella hall il concierge, con
sguardo complice, le aveva confessato che il conto era stato saldato dal suo
compagno e lei, per evitare inutili giri di parole, con un sorriso di
circostanza aveva voltato le spalle ed era fuggita via tuffandosi dentro un
taxi.
era andata da un ginecologo qualsiasi senza dire niente a
nessuno, per lasciare lì il risultato di quell'incontro, forte dell’insensatezza
di tutta quella situazione. non aveva senso portare avanti quella gravidanza,
mettere al mondo un figlio concepito per un abito scollato e un po’ troppa
malinconia. voleva tornare a casa e rivestire i panni di se stessa il prima possibile,
voleva tornare la donna che era, dimenticando la donna che era stata per una
notte sola, cancellando chirurgicamente le tracce di quella buona dose di mascara
e il ricordo di quelle mani.
fissava morbosamente un insetto che camminava lento sul muro
lucido dell’ambulatorio, dondolandosi appena nell'attesa che fosse il proprio
turno. accanto a lei una signora di mezza età, anch'essa tuffata nei propri
pensieri e una ragazzina nervosa che riempiva di domande sua madre che
rispondeva svogliatamente. quando l’infermiera la fece entrare il dottore non c’era.
si sedette in una sedia di formica grigia di spalle alla porta.
allora, cos’abbiamo
qui? disse il medico entrando nella stanza. Lei gli raccontò le sue
intenzioni senza alzare lo sguardo e, quando finalmente lo ebbe di fronte, riconobbe
quelle mani e, nell'imbarazzo di entrambi
scusi, ci ho ripensato disse.
scusi, ci ho ripensato disse.
Nessun commento :
Posta un commento