cornici

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lunedì 1 giugno 2015

equilibrio instabile

quattro anni per un metro esatto di altezza, due grandissimi occhi blu e un groviglio di capelli castani in cui poteva comodamente nascondere uccellini, stelle filanti, aeroplani, dinosauri e matite colorate. aveva due grandi passioni, il gelato al cioccolato e suo padre. nonostante avesse solo quattro anni, suo padre credeva fortemente in Lui che era testardo e coraggioso. sognavano insieme il momento in cui gli avrebbe insegnato ad andare in bicicletta, quello in cui avrebbe pescato il primo pesciolino o la prima volta in cui sarebbero stati allo stadio e non si accontentavano di farlo sommariamente, si addentravano nei dettagli: immaginavano come si sarebbero vestiti, se la mamma avrebbe insistito per mettere un cappellino o la canottiera, su quale scoglio si sarebbero appostati, cosa avrebbero urlato al primo goal.

si erano da poco trasferiti in una casetta a schiera nella periferia di una grande città, Mario e Barbara, i suoi genitori l’avevano scelta anche perché si affacciava su una strada poco trafficata in cui i bambini potevano giocare liberi al sicuro dalle auto e sbucciarsi le ginocchia come si faceva un tempo. pur sapendo che avrebbero dovuto affrontare qualche sacrificio in più avevano deciso di acquistare la casetta di testa e la primavera scorsa avevano finalmente inaugurato il giardino invitando gli amici di sempre a mangiare qualcosa e a trascorrere il pomeriggio insieme. erano perfino riusciti a vedere la partita dal giardino, era stato sufficiente spostare un po’ la tv e procurare qualche prolunga di fortuna. Barbara aveva comprato salsicce e verdura che avevano cotto alla brace, poi le donne avevano chiacchierato di figli, gli uomini di calcio e Lui e i suoi amici avevano mandato in fumo praticamente tutto il lavoro di riordino che Barbara aveva svolto il giorno prima.
Mario era un supereroe, lavorava su una ruspa gialla e aveva due mani grandi che ci stavano entrambe le sue e c’era ancora posto. si svegliava prestissimo al mattino e riusciva quasi sempre ad andare a prenderlo a scuola il pomeriggio. tornando a casa si fermavano al baretto di Laura, la sorella di sua madre. Mario prendeva una birra fresca che si godeva sospirando lentamente seduto al tavolino nel patio e Lui una coppetta piccola tutta cioccolato che, dopo pochi secondi, distribuiva equamente tra maglietta, pantaloni, scarpe e capelli. insomma, non riusciva a mangiarne che un quarto o poco più.

quelle volte in cui Mario arrivava a casa dopo di Lui, gli correva incontro, lo prendeva in braccio e gli chiedeva di aiutarlo a levarsi la tuta da lavoro. Lui allora si appendeva letteralmente al colletto e penzolava orgoglioso sulla schiena di suo padre fino a che Mario non abbassava la lampo sul davanti e sfilava lentamente le braccia. giocavano spesso insieme Lui e suo padre, delle volte si faceva fatica a distinguere un quarantenne in quel groviglio di corpi sul tappeto.

quando capì che cosa era successo non c’era più modo di tornare indietro, non aveva più quelle grosse mani a tenerlo al sicuro. SuperMario l’aveva lasciato solo quella domenica pomeriggio sulla stradina davanti a casa. ora Lui procedeva in equilibrio instabile con gli occhi lucidi e il cuore che scoppiava. sentiva -orgoglioso e spaventato- la voce di suo papà che si allontanava.

sapeva andare in bicicletta, incerto ma senza rotelle.

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